La scomparsa di Alberto Torriani Fontana, tra i simboli del baseball novarese
Un tardo pomeriggio di metà settembre del 1969, mentre ci allenavamo al Centro Sociale, si presentò un maturo giovane dal distinto comportamento, occhiali, baffi ben curati, cane al guinzaglio. Come fosse da poco uscito dal lavoro.
“Da tempo mi trovo a transitare, a piedi, lungo il viale Giulio Cesare – disse – e scorgo oltre la rete questo strano gioco: mi piacerebbe provarci anch’io!”. Ma il secondo campionato in serie D era ormai terminato e si disputava solo qualche amichevole, come facemmo osservare. “Meglio – replicò – avrete più tempo per spiegarmi qualcosa”. Parole misurate ma decise, di fronte al dubbio che magari lesse su qualche volto. Anziché scoraggiarsi, quella persona gentile e risoluta si “prenotò” per il suo primo approccio allo strano gioco chiamato baseball.
Però c’era un problema: l’assicurazione per eventuali infortuni. Vista la determinazione del neo arrivato, al segretario toccò tirar fuori, dalla valigetta, un modulo di richiesta tesseramento Fibs da compilare. Nome? Alberto. Cognome? Torriani Fontana. Doppio cognome, già così suscitava rispetto. Studente? Lavoratore? Geometra! Un tipo preciso e si capiva. Il nostro presidente avv. Genocchio firmò il giorno dopo la richiesta, che partì subito per Roma. Dal 18 settembre ’69 Alberto Torriani Fontana, di anni 26, si unì al gruppo. E tutti a chiedere chi sei e come ti chiami… Fu lì che il segretario decretò: “Facciamola breve, ti chiameremo Baffo e tanto basti”. Come un marchio, l’appellativo gli rimase attaccato.
Così è cominciata la fantastica storia di “Baffo” con il baseball. Giocatore e molto di più: di buon carattere, cordiale, disponibile e modesto. Non amava la parola “io”, ma se proprio doveva farlo, preferiva il termine “il sottoscritto”. Né appariva un atleta nel vero senso della parola (come molti di noi fondatori, del resto: chi scrive queste righe per primo), ma sul monte di lancio fornì prestazioni sorprendenti: frutto di una forza di volontà non comune, capace di superare ogni ostacolo a cominciare da quegli occhiali che mai volle sostituire con lenti a contatto. Già, perché il suo obiettivo non era genericamente cimentarsi nel baseball, ma misurarsi (da buon geometra) solo e soltanto dai 18,44 metri di distanza tra pedana e casa base. Lanciando insomma. Beppe lo impiegò raramente come partente, ma fu ottimo rilievo quando c’era da mettere assolutamente quella pallina nell’area dello strike. E con lui la squadra novarese ottenne importanti risultati, dalla serie D sino alla massima divisione! Uno dei pochissimi novaresi ad essere entrato in campo nelle quattro diverse serie.
Il desiderio di perfezionarsi, per essere d’aiuto ai compagni e d’esempio ai giovani, era tale che partecipò persino a uno stage in Florida, sotto la guida d’un celebre “head coach” come Demie Mainieri. Qualcuno rimase di stucco nell’apprendere del viaggio americano e, dopo qualche tempo, gli chiese: perché tutto questo? In controllo come sempre, rispose con il solito motto: “se lo faccio, ci sarà un motivo”. Come dire, giusto così e basta.
Del resto i risultati parlavano da soli, anche quando smise di lanciare a 40 anni per dedicarsi in pieno all’attività di tecnico peraltro già cominciata: in prevalenza a fianco di Beppe Guilizzoni ma pure a servizio di altre squadre, dal Sannazzaro al Vercelli, al Porta Mortara. Ovunque lasciando ottimi ricordi. “Baffo”, un marchio di qualità.
Da quel 1969 ha sempre risposto all’appello: per osservare partite, dare suggerimenti, partecipare a una premiazione o festeggiare anniversari, coinvolgendo anche la moglie Gaetana, forse l’unica persona… a chiamarlo Alberto, quando persino per i ragazzini dei Giochi della Gioventù (a una edizione coinvolse anche i figli Massimo e Daniela) lui era semplicemente “Baffo”.
Con il Club della Lippa (gruppo goliardico di reduci) si trovò a suo agio, perché non gli dispiaceva la convivialità né rifiutava l’ironia di battute o prese in giro: già anticamente, in qualche numero del giornalino “Picafort” fu pizzicato a più riprese, reagendo sempre con classe e sorrisi. Così si diventa personaggi. Uno che conosceva bene il gioco del baseball, ma al contempo stava al gioco nel confronto scherzoso, mai perdente. L’ironia del destino, però, ha voluto che incontrasse chi al gioco proprio non ci sta. Troppo difficile vincere quest’ultima partita.
In realtà, dopo oltre mezzo secolo trascorso con il suo “strano gioco” diventato passione, succede che a Novara, in giro per l’Italia, persino in qualche angolo d’America, “Baffo” sia diventato (senza che lui lo volesse) un mito. Invincibile.
Paolo Bossi
1 – Serie D 1970, con la squadra a Legnano
2 – Giochi gioventù 1970, per la prima volta allenatore (con i Leoni della media Morandi)
3 – Serie C 1972, a suo agio in pedana di lancio
4 – Tris di tecnici 1972 (De Martino e prima squadra): Baffo, Dom, Beppe
5 – Serie B 1974, al saluto con la squadra, nella prima di campionato ad Anzio
6 – Serie A (serie Nazionale) 1976, con la squadra d’esordio
7 – 2016, con i vecchi amici dei campionati 1989-90
8 – 2016, la famiglia Fontana (Alberto con Gaetana, Daniela e Massimo, anche lui giocatore in prima serie) e la famiglia Balelo (Nezi e Lisa), riunite a Novara, stadio Provini.