Riceviamo da Paolo Bossi e volentieri pubblichiamo questo quadro di memoria e vita sportiva del Baseball Novara. Paolo Bossi era ed è la “tessera n. 1” e la “casacca n. 1” del Novara Baseball fondato tre anni prima. Suo di diritto il n. 1: Paolo fu il primo a rispondere alla inserzione apparsa sulla Gazzetta del Popolo: “Cercasi appassionati per formare squadra di baseball”, fatto pubblicare da Guilizzoni.
Di Paolo Bossi
Nell’Almanacco del 26 e 27 gennaio compaiono dati interessanti sull’evoluzione del baseball. Tra essi, l’abbassamento del monte del lanciatore deciso nel 1970 suggerisce uno sguardo verso il nostro passato novarese. Il primo “mound” fu costruito nel settembre 1970, al Centro Sociale, quale idea della dirigenza per meglio qualificare l’incontro dei play off d’accesso alla serie C tra Novara e Black Angels, seconda squadra del Nettuno (quella in cui giocava Bruno Conti, poi divenuto il famoso calciatore).
Venne allestito con enorme fatica un campo che pareva stupendo, benché su un terreno di calcio non proprio ideale, con un lato corto e una pista di cemento che correva ai bordi. Ma c’era l’omologazione federale (si giocava in serie D), comprensiva delle rete mobile dietro il catcher e a protezione anche… dell’orto su cui verdeggiavano cavoli e verze dei preti che gestivano la struttura. Il confine del fuoricampo (da due basi sul lato corto) era un telone azzurro approntato per l’occasione, con stampigliato il nome dello sponsor.
Per la prima volta usammo terra rossa per le zone delle basi e per il monte, non senza le preoccupazioni del “don”. Preparammo persino i cerchi del battitore successivo, anch’essi con terra rossa. Il tutto ben pressato con un rullo, che il sottoscritto manovrò sin dall’alba della domenica mattina; al pomeriggio si sarebbe giocato. La terra rossa (benché non di prima scelta) fu donata dal Tennis Piazzano: andammo a prenderla con l’autocarro “del gorgonzola” prestato dal dirigente (e imprenditore del settore caseario) Lazzaro Borsi. Una squadra con Tognazzi, Bossi e il giovane Mario Borsi (non vorrei dimenticare altri) riempì una quindicina di sacchi, che scaricammo sulla pista di cemento per poi trascinarli, con vari aiuti, nei punti nevralgici del diamante. Gran regista per le misure da applicare alle aree rosse e non solo fu il consigliere Giovanni Faccio, che traduceva yard e pollici in metri e centimetri, per non dire millimetri.
E veniamo al monte. I regolamenti in nostro possesso riferivano ancora di 15 pollici d’altezza (circa 38 cm, una vera montagna), mentre le nuove norme, come da Almanacco del 26 gennaio, abbassavano la quota a 10 pollici (25,4 cm). Papà Faccio osservò peraltro che la zona di casa-base era un po’ più bassa rispetto a quella del lanciatore: infatti, quando pioveva, lì ristagnava dell’acqua. Calcolò la pendenza del terreno lungo i 18,44 metri e stabilì l’altezza conseguente del monte. Non ricordo esattamente il livello raggiunto dalla pedana, misurato sul metro che fissammo in terra all’inizio della costruzione, ma credo che fosse di 30 cm circa. Un mound un po’ fuori ordinanza, dunque: nessuno se ne accorse. Onore all’uomo del monte. Perdemmo quella partita, in cui anche Beppe Guilizzoni salì in pedana, ma fummo comunque promossi in serie C.